6 conclusioni dal Giro100



Il traguardo è stato smontato, i corridori sono tornati a casa, persino i coriandoli rosa sono ormai spariti da Piazza del Duomo. Anche questa edizione del Giro d'Italia è terminata.
Che non fosse un'edizione qualsiasi lo si sapeva, quel 100 ha un significato ben preciso, ma in questi ultimi anni tra centenario del Giro, 150°anniversario dell'Unità d'Italia e varie partenze dall'estero ci siamo un po' abituati ai grandiosi annunci fatti dagli organizzatori.
Eppure questo Giro è stato, secondo me, diverso e molto più significativo.
Voglio quindi lanciarmi in 6 considerazioni su questa 100^ corsa rosa.


Addio ai Fab-4

Due anni fa alla vigilia del Tour de France è stato creato questo termine per descrivere i “Fantastici 4” ciclisti più forti del momento, tutti al via della Grande Boucle: Froome, Contador, Quintana e Nibali. Insieme vantano 18 vittorie tra Giro, Tour e Vuelta (e quasi altrettanti secondi/terzi posti). Dal 2013 hanno vinto tutti i Grandi Giri ad eccezione della Vuelta di quell'anno (vinta da un improbabile Horner su Nibali) e del 2015 (Aru). Alla vigilia del Giro100, tutti i bookmakers davano Quintana come grande favorito, con Nibali principale avversario e tanti punti interrogativi sugli altri corridori. Ma con Quintana che abbaia ma non morde, Nibali e Contador corridori con tanto cuore ma sempre meno gambe (32 e 34 anni rispettivamente) la meritata vittoria di Dumoulin ha solo evidenziato il livellamento dei valori in campo, con nessuno in grado di far la differenza in salita, e preannunciato ciò che avverrà entro, penso, il 2018: col ritiro di Contador e la fine del regno di Froome al Tour, inizierà presto una nuova e più aperta era per le grandi corse a tappe.

Nuovo ciclismo, nuovo Giro

Per molti anni, il Giro è stato principalmente una questione italiana, con saltuari vincitori stranieri spesso di seconda fascia e i veri “big” che preferivano andare al Tour de France. Lo spessore del Giro ha iniziato a cambiare con la partecipazione di Contador e Quintana al Giro e la vittoria al Tour di Nibali, ma solo quest'anno il Giro d'Italia è entrato in quello che è il nuovo ciclismo: più globalizzato, con un livello medio più alto. Ormai l'unico dei big che continua a snobbare il Giro è Froome, sempre più criticato per questo, e la lista di partenti del Giro100 ha visto corridori protagonisti del panorama internazionale al via: Yates, Dumoulin, Dennis, Rolland, Zakarin, Mollema, Van Garderen sono tutti corridori di alto livello, con diversi risultati nel palmares, e la partecipazione di Pinot e Thomas è sintomo (e stimolo) di una maggiore attenzione verso il Giro da parte di paesi con una mentalità Tour-centrica come Francia e Gran Bretagna: questa mentalità sta morendo e che sia per desiderio di rivincita e riscatto di corridori respinti da Tour o per maggiore importanza del Giro, la globalizzazione fa bene alla Corsa Rosa. Ci siamo disperati per la quasi totale assenza delle vittorie italiane, ma significa solo una cosa: anche il Giro è finalmente arrivato nel ciclismo moderno. Il livello dei contendenti al podio è salito, quello dei vincitori di tappa anche, ora però è il momento di tornare ad attirare i velocisti, unici veri grandi assenti.

Oltre Nibali, il vuoto

Assenza di vittorie italiane, appunto. Rispecchia la globalizzazione del ciclismo, con la percentuale di italiani in gruppo sempre minore, e la fatica del ciclismo italiano a star dietro al progresso internazionale. Mi è stato chiesto un paio di sere fa di elencare i tre corridori italiani che, ora o in un futuro prossimo, potrebbero vincere un grande giro. Con Nibali verso il tramonto, non sono stato in grado di rispondere. Aru è atteso al test-maturità al Tour, ma il rischio è che resti un grande incompiuto, dopo gli improbabili paragoni azzardati dalla Gazzetta ai primi successi. Formolo, 10° al Giro, è in crescita e sta ottenendo risultati simili a Nibali alla sua età, ma ha ceduto nel finale, arrivando a 6' da Jungels e 5' da Yates, suoi coetanei e sulla carta meno adatti alle lunghe salite dell'ultima settimana. Nelle Classiche ci siamo ormai abituati all'assenza di italiani tra i favoriti (tolto il solito e versatile Nibali) ma alcuni segnali importanti sono arrivati in primavera (Moscon), nei Grandi Giri purtroppo non si inventa nulla e rischiamo di andare verso un periodo di magra. Le squadre italiane sono sempre meno e sempre meno importanti, i corridori interessanti ci sono, ma aspettiamoci di vedere sempre meno italiani in classifica generale.

Il nuovo modo di correre

Il 2017 è stato segnato da un modo di correre diverso dal passato e tuttavia più all'antica. Molto più aggressivo e meno attendista. Il Giro d'Italia ne è stata la parziale conferma. Non è più l'epoca degli scattini all'ultimo chilometro e delle tappe noiosissime fino agli ultimi 15'. Tutto può succedere, sempre. Le prime ore di corsa sono state spesso corse a velocità folli, con attacchi e contrattacchi. Ho letto numerose critiche a chi non ha provato a staccare Dumoulin prima dell'ultima salita, agli organizzatori che hanno creato un percorso noioso. Ma la corsa la fanno i corridori, e dopo giorni e giorni corsi ai 50 all'ora le energie sono poche per tutti e nessuno ha la forza di far la differenza. Paradossalmente, rispetto al passato, la parte più interessante delle tappe è lontana dal traguardo 
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I Social Network e il ritorno della maglia nera

Il Giro100 ha visto l'introduzione del numero nero per l'ultimo corridore in classifica, ricordo della maglia nera assegnata negli anni '40 e rimasta nell'immaginario collettivo per la vera e propria gara ad arrivare ultimi che aveva scatenato. Con i social network e la nascita di sempre più pagine ironiche sullo sport e sul ciclismo (“Ciclismo ignorante” & co) è diventato molto più facile (e divertente) familiarizzare e fare ironia con i ciclisti meno noti e meno inquadrati dalle telecamere, che sono in fondo quelli che meritano più stima e simpatia, stanno al gioco e son più facili da raggiungere. E hanno anche loro una storia, che è sempre interessante raccontare. A suon di hashtag, ovviamente.


La mediocrità dei media italiani

Il ciclismo cambia, diventa più social, cambia il modo di correre. Purtroppo i giornalisti italiani non vanno di pari passo. La RAI ha messo su un circo imbarazzante, che iniziava con un programmino pre-gara di raccomandati e finiva in un “processo alla tappa” farcito di gaffe, errori di collegamento e una conoscenza delle lingue (fondamentale ormai nel ciclismo) quasi patetica. La Gazzetta le andava allegramente dietro per creare polemiche inesistenti tra i corridori: funziona ormai più da tabloid che da giornale sportivo. Onestamente la ritengo una delle rovine del ciclismo italiano, per la sua capacità di santificare e crocifiggere i vari Nibali, Aru e chiunque mostri qualche talento. Lunga vita però a Davide Cassani, che offre sempre una lettura interessante delle corse e che ha una conoscenza del gruppo veramente impressionante. Lui, insieme a pochi altri commentatori ed ex-ciclisti, ha salvato ancora una volta la faccia alla RAI.

In conclusione, è stato un bel Giro, emozionante ed incredibilmente aperto fino all'ultima tappa. Peccato per l'assenza di grandi velocisti e finisseur ad animare le tappe delle prime due settimane, vorrei dire che attarre i corridori da classiche come Sagan sarà l'impresa del Giro del futuro, ma il calendario parla chiaro per ora: o vai forte a Marzo-Aprile o vai forte a (metà) Maggio.

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